Galleria Michelangelo

Via G. Giraud 6 – 00186 Roma

 

 

15 Dicembre – 14 gennaio 2006

Fotogrammi dell’irrealtà - Antonio Tamburro

Sala delle Prigioni

Castel dell’Ovo – Napoli

 

 

Mostra a cura di Fabio Cozzi e Licia Rubcich

Catalogo edizioni Galleria Michelangelo - Testi di Alida Maria Sessa, Gabriele Simongini

 

 

Verrà inaugurata giovedì 15 dicembre 2005, alle 18, nella suggestiva Sala delle Prigioni di Castel dell’Ovo, Fotogrammi dell’irrealtà la prima esposizione napoletana di Antonio Tamburro, artista molisano di ritorno dai successi europei che gli sono stati tributati nelle ultimissime mostre di Monaco, Ausburg e Kiev. Ma sarebbe riduttivo pretendere di esaurire l’importanza di Tamburro con la mera elencazione delle sue ultime esposizioni italiane ed estere. Si tratta di un vero pittore, formatosi anche all’Accademia di Belle Arti di Napoli, con una lunga carriera spesa nel perfezionamento di un originalissimo stile.

 

“… E’ insofferente Tamburro, tutto ciò che è consueto e accademico lo getta in un mare di noia e di non senso. Basta scorrere la biografia per notare come, appena diciottenne, lascia l’Accademia dei Belle Arti di Napoli  perché gli va stretta, nonostante la grande stima che nutre per il suo maestro Giovanni Brancaccio. Vola a quella di Roma, retta da Franco Gentilini, ma abbandona di nuovo perché sente ancora, o già troppo forte, l’esigenzaq di andare oltre i consueti insegnamenti…” Basta questa puntuale caratterizzazione che ne offre, nell’introduzione al catalogo, Alida Maria Sessa per iniziare a conoscere  l’artista che “sprizza felicità dagli occhi mentre mi confessa che la sua massima aspirazione è sempre stata quella di farsi dominare dalla pittura e la sua massima ambizione non è la quotazione di mercato, o la visibilità nel sistema dell’arte, o la distribuzione in un network ad alto livello, ma vivere la creazione come momento di libertà…”  

 

Un artista solitario, lontano dai tempi e dai ritmi imposti dalla modernità che però osserva dall’esterno, quasi estraneo. Gli scorci che individua nelle metropoli, nelle città senza tempo o nei frammenti di spazi sono condivisi da individui in cui ogni osservatore potrebbe riconoscersi, attore, protagonista di un quotidiano che vola veloce còlto, quasi di sorpresa, nell’istantanea efficacissima di Tamburro.

 

I Fotogrammi dell’irrealtà sono venti grandi opere ognuna delle quali, ancora riprendendo il testo di Alida Maria Sessa “è come il fotogramma di un filmato realizzato con una camera a mano che mossa dal passo veloce dell’operatore riprende una realtà in movimento. Così le velocità degli spostamenti si raddoppiano, le scie ed i tracciati sono ancora più filanti e non si riesce a mettere a fuoco che una porzione piccolissima dell’immagine.” Il risultato è una pittura non banale, anzi come scrive Gabriele Simongini “Non a caso Tamburro si autodefinisce “pittore di cose” ma intendendo con questa affermazione non gli oggetti o la realtà visibile nella loro accezione mimetica, quanto piuttosto dichiarando la sua volontà di dipingere la pittura in quanto “cosa” e quindi di trasformarla in un unico soggetto della propria creatività. Ciò porta il nostro artista a dare un nuovo senso alla realtà esistenziale tramite la realtà della pittura superando quindi di gran lunga quell’arido documentarismo pseudo-sociologico e televisivo che alimenta tanta figurazione d’oggi”.